Il Trecento fashionista
Firenze. L’attrattiva dei dipinti antichi spesso risiede anche negli abiti indossati dai protagonisti raffigurati. Tutti ricordiamo la raffinatezza delle vesti della Vergine che regge il Bambino, la rudezza o la sontuosità di quelle dei santi, o la leggiadria delle tuniche degli angeli, tanto che spesso, nelle fonti storico artistiche, la maestria pittorica di un artista è esaltata anche attraverso notazioni sulla resa delle stoffe. Inoltre i tessuti ci suggeriscono molto della temperie culturale del momento in cui l’opera è stata concepita, del luogo, del potere del committente e anche di quale ne fosse la destinazione, per la devozione dei fedeli in un importante edificio di culto o per la quiete conventuale. Firenze rappresenta, specie nel Trecento, un’eccellenza nella produzione di lana e poi di seta, nonostante i costi altissimi delle materie prime e dei coloranti. Le ambite stoffe fiorentine viaggiano verso mete lontane, dal Medio Oriente all’Asia, dalla Spagna alla corte del Sacro romano impero di Praga, dalla Sicilia fino al Mar Baltico. Così, le corporazioni della Lana e della Seta, l’Arte di Calimala e di Por Santa Maria, contribuiscono fortemente alla ricchezza cittadina e, oltre a detenere potere politico, sono grandi committenti nel campo artistico.La mostra alla Galleria dell’Accademia, «Tessuto e ricchezza a Firenze nel Trecento. Lana, seta, pittura» (catalogo Giunti), ideata e curata dalla direttrice stessa del museo, Cecile Hollberg, dal 5 dicembre al 18 marzo pone a confronto lo splendore dei tessuti con quello delle opere di artisti che da tanta bellezza trassero ispirazione per i loro dipinti, offrendo così una testimonianza importante dei costumi della società del tempo, nel secolo che vide sorgere importanti cantieri di edifici come la cattedrale di Santa Maria del Fiore e il Palazzo della Signoria. D’altronde nell’attenzione alle stoffe è anche l’origine del gusto occidentale e quindi del concetto di moda, suggerito in mostra in maniera emblematica dal vestitino in lana, in prestito dal Nationalmuseet di Copenaghen, confezionato intorno alla metà del XIV secolo per una bimba e recuperato dagli archeologi in Groenlandia. Il percorso espositivo è scandito dal rispecchiarsi di opere dipinte e opere tessute, con tavole trecentesche raffinatissime, quali l’«Incoronazione della Vergine» di Jacopo di Cione (1372-73) o il «San Martino in trono» di Lorenzo di Bicci (1380-90), fino al Quattrocento con la sontuosa testimonianza offerta dal piviale in velluto di seta a motivo di tronchi fioriti ondulanti del Museo Nazionale del Bargello. Nel tabellone centrale del «Crocifisso» del tardo Duecento conservato alla Galleria dell’Accademia (restaurato proprio per la mostra), il corpo di Cristo si staglia invece su un vivissimo motivo decorativo che testimonia la ricchezza di stoffe islamiche più antiche. ...